Spiritualità significa, tra l’altro, orientamento verso la relazionalità, la socialità. L’amore infatti è indubbiamente relazionalità, mentre il considerarci esseri particolari che non sono il centro del mondo ci conduce anch’esso ad una maggiore attenzione verso l’altro. Questo spostamento d’accento contribuisce a conferire un corretto orientamento alla spiritualità, solitamente intesa invece più come attenzione del singolo verso sé stesso, verso le dinamiche che avvengono al proprio interno.
Nel trattare di relazioni sociali, possiamo considerare troppo distruttivo l’approccio di Sartre (“l’inferno sono gli altri”) e troppo ingenuamente ottimista quello di Levinas; certamente ora non siamo qui per seguire una via di mezzo. Piuttosto, troviamo opportuno individuare vie su cui camminare, che conducano a relazioni sociali di miglioramento, progresso, crescita, almeno come percezione umana collettiva. Ora, se già la spiritualità in sé può essere considerata una via di ricerca degna di continuo approfondimento, e con essa le spiritualità dell’amore, del perdono, dell’esserci, senza dubbio un’altra spiritualità che merita ricerca è quella della relazione con l’altro o gli altri.
Su ciò ancora una volta il Cristianesimo ha da offrire una categoria che merita di essere assunta per un recupero a un umanesimo non metafisico, non dogmatico: è la categoria della carità, detta anche, con termine greco, agàpe (αγάπη). Come intendere questa categoria in maniere libere da interferenze della fede? Certamente non intendiamo liquidare Sartre come se fosse superato: l’altro è anche inferno, il concetto di spiritualità universale come male conserva la sua validità. Nel cammino fatto finora però abbiamo formato un bagaglio di impostazioni che possono fornire un buon contesto in cui portare avanti questo tipo di ricerca, perché appunto di ricerca si tratta: l’interpretazione performativa della carità è anche sperimentazione e interrogazione della vita per tentare vie di crescita. Anche la carità non sfugge alla mancanza di oggettività: perfino un profumo costoso può essere ritenuto più necessario dell’elemosina verso i poveri, nientemeno che da parte di Gesù stesso (Marco 14,3-9). Essa può essere intesa, tra l’altro, come modalità con cui la natura critica sé stessa, per esempio riguardo alla legge del più forte.
Si tratterà dunque di una carità modesta, che sa di essere sempre inquinata da qualcosa, da egoismo, carità che dubita della propria stessa esistenza; figuriamoci se possa essere importante far sapere alla mano destra qualcosa di cui la sinistra dubita perfino dell’esistenza. La carità sarà una sfaccettatura, un riflesso della spiritualità in corso di coltivazione, nel desiderio di condividerla con altri. Sappiamo che ogni condivisione è inquinata dalla voglia di sopraffare l’altro, ma questo, piuttosto che distoglierci da essa, serve semplicemente a ricordarci che questo tentativo di amare, condividere, coltivare il benessere di sentirci collaboratori al bene, sarà anche ricerca critica e autocritica. In questo senso anche già lo stesso cammino di spiritualità espresso in questo sito può essere considerato in questo modo.
Salve a tutti.
Siamo arrivati al post “Spiritualità della carità”. Per quanto riguarda la carità, un malinteso di cui tutti si rendono conto è quello dell’ambiguità tra il gesto esteriore e il rapporto personale. Pensiamo, per esempio, a un povero che chieda la carità: “Fate la carità!”. Gli faccio l’elemosina e allora gli ho fatto la carità. Però tutti ci rendiamo conto che la carità non è questo, la carità non è l’elemosina. Ma allora che cos’è?
Pone questo problema in maniera molto evidente san Paolo, nella prima lettera ai Corinzi 13, versetto 3, cioè nel famoso “Inno alla carità”: “... e se anche distribuirsi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova”. Cioè, se anche dessi tutto il mio denaro ai poveri, potrebbe succedere che io abbia fatto questo gesto senza carità. Dunque la carità è qualche altra cosa.
Il punto di riferimento per chiarire il significato autentico di carità, storicamente, è stato quello del termine agàpe, ma anche su questo, purtroppo, si cade nel fumoso: che cos’è quest’agape? È il trovarsi insieme a mangiare e basta? Come, come definirla, come non confonderla con ciò che può renderla falsa? Ora, nel contesto del discorso sulla spiritualità, credo che ci ritroviamo con degli elementi che possono aiutare il chiarimento. Allora definirei la carità in questo modo, perché sia autentica. Deve essere crescita del soggetto verso altri soggetti. Detta così può sembrare una definizione troppo filosofica, troppo intellettualistica: si parla di soggetti, eccetera, ma, in realtà, credo che sia molto utile impostare la questione in questo senso. Perché? Intanto crescita. Altre volte ho detto che l’amore per me è crescere e far crescere, a partire dal porre come senso di ogni cosa il crescere, il camminare, il divenire. Dunque, abbiamo già un criterio utile: perché ci sia la carità vera, ci dev’essere crescita, crescita di me, crescita dell’altro. In questo senso carità e amore vengono ad essere la stessa cosa.
In che cosa la carità viene a differirsi dall’amore? Nel senso che l’amore include qualcosa di più generale, mentre la carità fa riferimento di più al gesto concreto, pur con le riserve che abbiamo fatto, quindi qual è il gesto concreto autentico? Il gesto in cui c’è crescita, e dicevo del soggetto verso altri soggetti. Cioè, l’atto di carità, per essere autentico, deve essere un camminare di me verso l’altra persona. In quanto tale non finisce mai, perché il mio camminare verso l’altro significa un universo che cammina verso l’altro universo per l’arricchimento reciproco.
Ho parlato di soggetti per distinguere dal problema che di solito sta al fondo, cioè dal problema di confusione con la metafisica. Metafisica significa oggettivazione: tutto è oggetto, l’esistenza delle cose. Soggetto significa invece tener conto di noi stessi, dei nostri condizionamenti, con i pregi e i difetti. In questo senso, allora, comprendiamo già che il problema dell’elemosina al povero si può chiarire proprio nel contesto filosofico. Cioè, il difetto della carità, intesa come elemosina, consiste nel fatto che si tratta di carità intesa come metafisica, cioè come oggettività, l’oggetto materiale, il gesto materiale, “Ti ho fatto l’elemosina, eccola qua, questa è la carità”. Il problema è che è venuto a mancare il soggetto e allora diventa importante il criterio che dicevo, cioè dire, carità è crescita del soggetto verso altri soggetti, è cammino della persona verso altre persone, perché ci sia crescita e perché ci sia arricchimento reciproco.
In questo senso possiamo anche tener presente l’etimologia stessa della parola italiana carità. Cioè dire, carità, come essere caro, farmi caro, rendermi caro all’altro. In questo senso, essere per lui non il male, l’inferno, che diceva Sartre, “l’inferno sono gli altri”, ma piuttosto una persona che per l’altro deve venire a risultare un’esperienza bella, positiva, costruttiva, interessante, buona.
In questo senso, intendendo quindi carità come camminare di me soggetto verso l’altro soggetto, possiamo tener presente anche un altro spunto che ci viene da san Paolo in prima Corinzi 9. Cioè dire, l’esplorare l’assimilazione all’altro, rendersi simile all’altro, condividere la sua condizione, essere come loro, come gli altri, e in questo senso Paolo dice, in prima Corinzi 9, “mi sono fatto Giudeo con i Giudei per guadagnare i Giudei, con coloro che sono sotto la legge sono diventato come uno che è sotto la legge...”, eccetera. “Mi sono fatto tutto a tutti”, cioè arrivare quasi al punto di farsi peccatore per essere simile ai peccatori. Questo poi non è altro che quello che fece Gesù, essersi fatto uomo per condividere la condizione di peccato. Qui sarebbe da discutere quell’essere non peccatore di Gesù. Non è detto, forse si potrebbe intendere avere condiviso anche questo, anche l’essere peccatore, ma ad ogni modo non entriamo qui in quel problema teologico, ma, dico, per principio, questo camminare del soggetto verso l’altro soggetto significa esplorare l’orizzonte del diverso, fino a rinnegare me stesso, cioè fare ciò che io non condividerei, ciò che io non vorrei fare. In questo senso ho detto già altre volte che per me il camminare ha questa particolarità, cioè di riuscire a fare l’opposto di sé stesso, riuscire a negare sé stesso. Camminare quindi può significare anche fermarsi, naturalmente non per farlo diventare una legge, quindi non camminare più, ma per esplorare esperienze diverse. In questo senso, quindi, camminare, amore, carità diventano un tutt’uno, con questa speciale capacità di includere la negazione di sé stessi. Questo viene ad essere l’andare verso il soggetto.
A questo punto vorrei evidenziare alcune alcune cose negative che invece vengono a verificarsi quando, piuttosto che essere un camminare verso il soggetto, viene ad esserci affermazione del soggetto. Quando è affermazione del soggetto, cioè affermazione di me, viene ad esserci anche a scapito dell’altro soggetto. Mi riferisco, in particolare, a quelle attività ipocrite in cui si fa qualcosa che solitamente non è proprio il massimo dell’amore per i poveri, soprattutto perché c’è di mezzo un’ingiustizia di distribuzione dei beni, c’è di mezzo lo sfruttamento della massa, dell’ignoranza, e però si dice “Il ricavato andrà ai poveri” e quindi la massa ci casca, ma non solo la massa a quanto pare. Ci casca e dice “Bene, bene!”. Invece è tutto falso, perché? Un gesto indicativo, proprio avvenuto un mese fa: la Lamborghini ha regalato un suo modello più recente, uno dei modelli più costosi, a papa Francesco. Il ricavato andrà ai poveri. È tutto falso, è tutto ipocrita. Perché? Perché Lamborghini significa lusso, lusso significa ingiusta distribuzione dei beni. Cioè, ciò che dovrebbe appartenere ai poveri per meccanismi sociali è stato sottratto e dato invece a chi è più ricco. Ora, portare avanti un’azione, un’attività come Lamborghini, significa portare avanti un’attività che crea ingiustizia sociale, che crea ingiusta distribuzione dei beni e quindi che senso ha che poi il ricavato lo dai ai poveri? Sarebbe come vendere armi, vendere carrarmati, e poi una parte del ricavato spenderlo per la pace. Ma allora non fabbricare carrarmati. In questo senso fu più senza peli sulla lingua Gesù, che disse a quel ricco “Vuoi venire con me? Allora comincia vendendo tutto, dallo ai poveri e poi vieni con me”. È chiaro quindi che non posso creare amore per i poveri mettendoci nel mezzo l’affermazione di me. Siamo sempre in quel contesto lì. La filosofia contribuisce a chiarirmi tutto, cioè la carità non può avere alla base la metafisica, cioè l’oggetto materiale. La carità deve avere alla base il soggetto, dev’essere crescita del soggetto verso altri soggetti. La metafisica, cioè i beni materiali, tutt’al piu devono essere come al servizio di tutto questo. In questo senso, ci può essere anche chi dica “Ma sono pur sempre dei passi avanti, è meglio del non fare niente!”. No, non è meglio del non fare niente, perché siamo sempre in quel discorso. Cioè dire, vendere carri armati e poi il ricavato darlo ai poveri, per la pace, non è meglio del non fare niente, ma significa costruire falsità, significa abituare la massa all’ipocrisia, abituare la massa all’idea che la carità può essere vissuta in questo modo falso. Su questa linea anche l’altra affermazione di Gesù, “Non sappia la tua destra ciò che fa la tua sinistra”, è sempre su questa logica. Cioè, il far sapere significa affermare sé stesso e quindi dire “Guardate quanto sono bravo, perché ho fatto questo gesto di carità” e la stessa cosa di regalare la Lamborghini al papa, la stessa cosa di vendere carri armati e dare il ricavato per la pace. Cioè, al fondo sta l’affermazione del soggetto, il quale si rifugia dietro il gesto metafisico, dietro la materialità di aver fatto l’elemosina.
Allora il senso viene ad essere quello che dicevo all’inizio. La carità che sia autentica può riferirsi a questo criterio: deve essere un camminare del soggetto verso altri soggetti e allora sì che può essere un’esperienza interessante, un’esperienza che fa crescere e che favorisce il benessere, direi anche la felicità, di tutti, un termine che a me non piace molto perché è abusato, comunque diciamo anche questo.
Arrivederci a tutti e auguri di un cammino che cerchi di essere sempre meno ipocrita, sempre più autentico, sempre più arricchente e costruttivo, e buon cammino a tutti.
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