La definizione di spiritualità
Introduzione
La spiritualità è oggi ampiamente studiata ed esplorata, ma manca ancora una definizione accettata comunemente, il che crea problemi per la ricerca. Questo articolo si basa su ricerche precedenti per risolvere questo problema, cercando allo stesso tempo di determinare una definizione che funzioni anche come metodo di pensiero per guidare nello studio della spiritualità.
L’assenza di una definizione condivisa è stata affrontata in modo critico da numerosi autori recenti. Ad esempio, l’articolo di Bregman (2004) mette in luce la molteplicità delle definizioni considerando l’articolo di Principe sulla storia della parola “spiritualità” (Principe, 1983), i mass media, la teologia di Paul Tillich; tuttavia, non effettua un’analisi sistematica e non presenta un metodo per affrontare il problema. Il problema della mancanza di una definizione condivisa è discusso anche in King (2014), che fa riferimento all’articolata definizione di spiritualità di Tanyi (2002), nella cornice essenziale di una tensione tra definizioni ristrette e ampie; King teme che “… con una definizione così ampia… quasi tutto può essere detto spirituale”. La stessa cornice è focalizzata da Swinton (2014), quando dice “Sembra che, in una certa misura, spiritualità significhi tutto ciò che la persona interrogata pensa che significhi ”, e da Gatmon (2015) che osserva che “Sembrano esserci tante definizioni di spiritualità quanti sono gli studiosi che tentano di definire il concetto” e fornisce alcuni esempi “… per illustrare sia la comunanza che la mancanza di consenso nel definire la spiritualità”. Definizioni ristrette hanno il vantaggio della chiarezza e della precisione, ma escludono troppe cose o persone che intuitivamente percepiamo come indubbiamente spirituali; d’altra parte, le definizioni ampie riescono ad includere tutti, ma lasciano la percezione di fare della spiritualità qualcosa senza un’identità precisa, per cui diventa difficile rendersi conto di quanto sia diversa dalle altre cose. Ciò incide sulla ricerca: Oman (2013), ad esempio, cade nel problema della ristrettezza: il suo studio non arriva a una definizione conclusiva ed è abbastanza condizionato da un concetto di spiritualità troppo limitato ad ambiti specifici come la religione, il sacro, il soprannaturale, cosicché altri importanti campi, come l’arte concepita come forma di spiritualità, esulano dal suo ambito. Il problema della ristrettezza e dell’ampiezza delle definizioni di spiritualità è una conseguenza della complessa storia che sta dietro alla parola e ai concetti a cui può riferirsi. Esaminerò brevemente questa storia più avanti in questo saggio.
In conseguenza del problema della ristrettezza e dell’ampiezza, che è l’origine essenziale delle altre difficoltà, si potrebbe prevedere che una definizione di spiritualità è molto probabilmente destinata oggi al fallimento, perché le idee in circolazione non solo sono diverse tra loro, ma spesso si escludono a vicenda, oltre ad essere assunte acriticamente dalle persone. Come sappiamo, per alcune persone la vera spiritualità deve essere religiosa, o anche riferita ad una specifica confessione religiosa; per altri le religioni, con le loro strutture e istituzioni mentali, sono invece ostacoli allo sviluppo di un’autentica spiritualità. Molti collegano l’idea di spiritualità con la fede in forze, energie, poteri o influenze astrali soprannaturali, mentre altri affermano che la vera spiritualità esiste anche in contesti come lo scetticismo, l’ateismo, il materialismo o la scienza. In questa situazione sembra quasi impossibile trovare una definizione sufficientemente precisa di spiritualità, in grado di soddisfare tali contrapposte aspettative di persone e mentalità. Una soluzione, adottata da Swinton (2011, 2014), ad esempio, è lasciare da parte il problema di una definizione e andare avanti, affidandosi all’uso pratico e comune della parola; questo criterio potrebbe essere considerato esso stesso un metodo di interpretazione di cosa sia la spiritualità, tuttavia lascia tutto indefinito e i problemi sorgono facilmente: ad esempio, chiunque parli di spiritualità potrebbe essere sospettato di imporre implicitamente la propria cultura e la propria concezione di spiritualità, anche se involontariamente, inconsapevolmente, come ha osservato Hornborg (Hornborg, 2011).
Possiamo notare che altri campi ben consolidati della cultura umana, come la filosofia, la religione, la psicologia, l’arte o anche la scienza, affrontano problemi di mancanza di una definizione soddisfacente senza entrare in crisi. Tuttavia questo non significa che non abbiamo bisogno di ricerche sulle definizioni; una definizione praticabile è uno strumento estremamente utile ed efficace per la ricerca e per individuare punti condivisi su qualsiasi aspetto di qualsiasi campo. È bene però anche rilevare che le definizioni vengono fraintese e diventano controproducenti se trattate come punti conclusivi, definitivi, ultimi, che, come tali, scoraggerebbero la critica e l’ampliamento degli orizzonti. Per questo motivo, quanto propongo in questo articolo non vuole essere una risposta definitiva, statica, volta a chiudere ulteriori discussioni, ma piuttosto uno strumento per un ulteriore sviluppo della ricerca generale e della critica nella spiritualità.
Dobbiamo anche considerare l’importanza di adottare una metodologia. Questo può essere inteso come un compito arduo, considerando la confusa situazione odierna sopra delineata e il fatto che la ricerca sul tema è giovane e fresca; di conseguenza, ci troviamo nella condizione di affrontare un campo piuttosto nuovo che necessita, in una certa misura, di nuove metodologie appropriate. Per questo motivo la nostra metodologia è in qualche modo obbligata ad essere dettata dalla domanda stessa, oltre che dai metodi comunemente usati nella ricerca accademica. Il presente articolo mira a determinare una metodologia di pensiero accanto al tentativo di trovare una definizione operativa di spiritualità.
Il metodo fondamentale per determinare una definizione di spiritualità consiste nell’esaminare la sua storia dove, dicendo “storia”, includiamo anche il nostro presente. A questo scopo, l’articolo di Principe (1983) è un’opera chiave per comprendere le difficoltà storiche della parola “spiritualità”. Tuttavia, prima di esaminare la storia, partirò da una rassegna di alcuni dizionari perché, quando esaminiamo la storia, siamo già condizionati dalla nostra cultura attuale. Vogliamo avvicinarci alla storia con un minimo di consapevolezza dei preconcetti culturali che condizionano la nostra mente; questi preconcetti sono rispecchiati dai dizionari e saranno esaminati criticamente, considerando la descrizione che ho già fatto della nostra situazione attuale, inquadrata essenzialmente nella tensione tra ristrettezza e ampiezza. Dopo un sondaggio di alcuni dizionari, seguito da una breve storia della parola “spiritualità”, esaminerò alcuni aspetti filosofici del nostro problema, per comprendere a fondo quali strutture mentali stiamo utilizzando nella nostra ricerca e, infine, darò alcune brevi ragioni e prospettive sulla mia proposta di una definizione di lavoro.
Dizionari
La prima cosa che viene fuori quando guardiamo al significato di “spiritualità” dato dai dizionari inglesi è il riferimento a “spirituale”, che a sua volta ci rimanda a “spirito”. Questo è ciò che troviamo, ad esempio, nell’Oxford English Dictionary: esso definisce la spiritualità come “Il fatto o la condizione dell’essere spirituale, spec. nella natura, nella prospettiva o nel comportamento; attaccamento o preoccupazione per questioni o attività spirituali (in contrapposizione a cose mondane o materiali); qualità o carattere spirituale” [1]. La voce “spirito”, a sua volta, fa uso di parole che aprirebbero ampie e complesse discussioni filosofiche e culturali, come il significato di “immateriale”, “soprannaturale”, “essere”. Ovviamente questo accade con qualsiasi parola in tutti i dizionari, ma normalmente veniamo indirizzati verso parole che percepiamo familiari, conosciute, che non necessitano di ulteriori approfondimenti e dettagli. Non è così per la parola “spirito”, vista la situazione confusa che ho descritto all’inizio. In questo modo alcune definizioni aprono ancora più domande e problemi piuttosto che dare un’idea conclusiva, semplice e chiara. Ad esempio, la definizione dell’Oxford Advanced Learner’s Dictionary, nel tentativo di essere semplice e chiara allo stesso tempo, dicendo “La qualità di essere connessi con la religione o lo spirito umano”, ci rimanda allo “spirito”, che è definito come “La parte di una persona che include la sua mente, i suoi sentimenti e il suo carattere piuttosto che il suo corpo”. Ci sarebbe molto da obiettare sull’opposizione dello spirito al corpo: un’autentica spiritualità ha bisogno di essere percepita in contrasto con il corpo o forse è vero esattamente il contrario? Non è forse vero in realtà che molte spiritualità dedicano una grande attenzione positiva all’importanza del nostro corpo?
Una definizione di spiritualità che mi ha lasciato abbastanza stupito per essere così tanto e facilmente esposta a critiche è quella del Cambridge Dictionary [2]: “La qualità che coinvolge sentimenti e credenze profonde di natura religiosa, piuttosto che le parti fisiche della vita” . Le obiezioni immediate e spontanee sono evidenti: la spiritualità è sempre religiosa? Che dire del lavoro di André Comte-Sponville, The Book of Atheist Spirituality (2009), per esempio, o Spirituality for the Skeptic di RC Solomon (2002)? Come valutiamo se un sentimento è profondo o meno? Quanto deve essere profondo per appartenere alla misura della spiritualità? La natura religiosa è qualcosa di opposto alle parti fisiche della vita?
Vediamo che il problema essenziale che affrontiamo consultando i dizionari per la parola “spiritualità” è che alla fine hanno spiegato obscura per obscuriora, un’espressione latina ironica che significa “cose oscure attraverso cose ancora più oscure”. Fortunatamente nei dizionari possiamo trovare anche espressioni alternative che danno l’idea di spiritualità senza utilizzare parole che derivano dalla sua stessa radice latina spirit-. Anche queste espressioni alternative cadono nella difficoltà che ho detto prima, se guardiamo di volta in volta alle loro singole parole e poi alle parole usate per definirle. C’è però una differenza, perché si collegano a radici diverse: elaborare il significato di “spiritualità” esaminando il significato di “spirituale” e “spirito” ci mantiene nell’orizzonte circolare della radice latina spirit- ; se invece una definizione ci rimanda a parole che provengono da radici diverse, è decisamente più fruttuosa, perché permette di realizzare interconnessioni che si illuminano a vicenda e ci aiutano a costruire un contesto mentale ricco per capire il significato della spiritualità. A questo punto non ci resta che trovare le migliori espressioni alternative date dai dizionari per significare “spiritualità”.
La presente ricerca si è limitata ad alcuni dizionari e alle loro definizioni legate alla radice latina spirit- . Non prenderò in considerazione, ad esempio, il campo semantico della parola tedesca “Geist”, che è etimologicamente collegata all’inglese “ghost”, né prenderò in considerazione lingue ancora più lontane, come l’arabo, il cinese, l’hindi: uno studio così ampio richiederebbe una complessa collaborazione di gruppo per produrre un intero libro, piuttosto che semplicemente un articolo come il presente.
Tra le espressioni alternative fornite dai dizionari, “vita interiore” risulta la più efficace: è usata come sinonimo, è breve, è relativamente frequente, ricca di significato, intuitivamente di facile comprensione, utile per ulteriori ricerche. È in grado di funzionare come ermeneutica, cioè strumento, metodo di ricerca.
Adesso cercherò di mostrare come l’espressione “vita interiore” sia abbastanza usata nei dizionari che ho consultato e poi evidenzierò il campo semantico delle sue componenti “interiore” e “vita”.
Il dizionario inglese online “vocabulary.com” [3] spiega il significato di “spiritualità” dicendo che “La spiritualità ha a che fare con lo spirito, inteso non come fantasma, ma come l’essenza dell’essere umano – la tua anima o la tua vita nteriore”.
La definizione di “spiritualità” nel dizionario italiano Zingarelli 2022 fa riferimento alla parola “spirituale”, che presenta le stesse difficoltà che ho notato sopra, ma dà anche un interessante esempio dell’uso di questa parola: riporta l’espressione “Padre, direttore spirituale”, definito come “il sacerdote che assume la cura personale della vita religiosa di un fedele; nella vita monastica e regolare, chi è preposto alla direzione della vita interiore dei novizi, dei postulanti e degli studenti” [4]. La prima parte di questa definizione fa riferimento alla vita religiosa e, come tale, non ci è utile, perché troppo esclusiva, ma la seconda parte, per riferirsi alla spiritualità, usa l’espressione alternativa vita interiore, che si rivela cruciale. Il dizionario italiano De Mauro [5] , tra le altre definizioni della parola “spirituale”, ha queste, contenenti un riferimento anche alla vita interiore: “che riguarda l’interiorità dell’uomo”, “che ha una profonda vita interiore ” e “chi ha autorità in materia di religione e, in genere, ha competenza sulla vita interiore dell’uomo” [6] .
Il dizionario tedesco Digitales Wörterbuch der deutschen Sprache [7] , alla voce “Spiritualität” (“Spiritualità”), dice come definizione “ Geistigkeit; inneres Leben , geistiges Wesen ” (“Spiritualità; vita interiore , essere spirituale”).
Possiamo trovare connessioni tra “spiritualità” e “vita interiore” anche procedendo nella direzione opposta, cioè cercando “interiorità” in alcuni dizionari e vedendo come l’espressione “vita interiore” è usata in connessione diretta con la gamma delle parole legate a “spirito”.
Il dizionario Lexicon [8] dà il seguente significato n. 2 di “interiore”: “Mentale o spirituale”. Altre frasi di esempio date sotto la definizione di “interiore” fanno uso della parola “spirituale”. Inoltre, definisce “interiorità” come “Preoccupazione per il proprio io interiore ; interessarsi di questioni spirituali o filosofiche piuttosto che di esternalità”.
Il dizionario Merriam-Webster [9] ha come significato 2a della parola “interiore” “di o relativo alla mente o spirito” e dà come esempio l’espressione “la vita interiore”.
La definizione di “interiore” data dal Cambridge Dictionary contiene questa frase di esempio nella sezione “American Dictionary”: “Ha affrontato le sfide della vita con coraggio e forza interiore (= la forza del suo carattere o spirito)”. La spiegazione tra parentesi fa parte della frase di esempio.
Il dizionario italiano Zingarelli 2022 definisce “interiore” con “Che appartiene alla sfera dello spirito, della coscienza, dei sentimenti” . Il dizionario italiano Devoto-Oli definisce “interiore” come “Pertinente alla sfera della vita spirituale e della coscienza individuale”. Questo stesso dizionario dà la seguente definizione del termine “interiorità”: “La consistenza o la prevalenza, nell’ambito individuale, dei fatti spirituali”. Il dizionario italiano De Mauro, alla voce “interiore”, dà la definizione “Che è proprio o si riferisce all’animo, allo spirito, alla coscienza dell’uomo”. Questo stesso dizionario, alla voce “interiorità”, dice “ Complesso di pensieri, sentimenti e interessi che costituiscono la vita spirituale di un individuo”. Nella sezione italiano-inglese del dizionario Ragazzini 2021, il significato n. 2 della parola italiana “interiorità” è preceduta tra parentesi dalla specificazione “vita spirituale ” ed è tradotta in inglese “inner life” (“vita interiore”).
Ciò dimostra non solo che la parola “spiritualità” è non di rado espressa come “vita interiore”, ma anche che il campo semantico di “interiore” è comunemente inteso come connesso al concetto di “spirituale”.
La “vita interiore” è diversa dalla spiritualità?
Questa breve rassegna di alcuni dizionari ha mostrato che “vita interiore” è usata oggi come espressione alternativa per significare “spiritualità”. Oltre ai dizionari, altri, come Hill (2013) e Bianchi (2012), utilizzano “vita interiore” come sinonimo di spiritualità.
In opposizione all’equivalenza tra “spiritualità” e “vita interiore”, alcuni lavori le citano insieme in un modo che sembra implicare una differenza, ma in realtà ciò non viene chiarito. Abbiamo, ad esempio, l’articolo di Wadhawan (2014) il cui titolo è “Spiritualità e vita “interiore” ” [ 10] , ma l’articolo non fornisce indicazioni su cosa sia specifico della “vita interiore” in confronto alla “spiritualità”. Lo stesso accade negli articoli di Wink [11] e di Baker [12]: entrambi menzionano “vita interiore” e “spiritualità” nel titolo, ma poi l’espressione “vita interiore” non viene mai menzionata nel contenuto. Nel libro di Rayburn e Comas-Diaz La vita interiore della spiritualità femminile (2008), c’è una sola ricorrenza dell’espressione “vita interiore”, oltre che nel titolo, e si trova alla fine del capitolo 5, come parte di un testo citato che sottolinea che la spiritualità non riguarda solo la vita interiore, in opposizione alla “vita esteriore”, ma coinvolge l’intera esistenza. Heelas (2008) fa un uso estensivo dell’espressione combinata “spiritualità della vita interiore” nel suo libro e ad essa è dedicato anche un intero paragrafo a p. 5, ma non ne dà una spiegazione.
Dopo queste note potremmo ancora chiederci quale sia la differenza tra “spiritualità” e “vita interiore”: sono intercambiabili al cento per cento? La risposta non è difficile se si considera la loro rispettiva storia: la “spiritualità” ha una storia precisa, connessa con il suo passato contesto nel cristianesimo e le espansioni verso le religioni orientali e le esperienze interiori, seguite da un’ulteriore espansione nel contesto dell’ultima filosofia occidentale, mentre “vita interiore” è un’espressione generica che indica ciò che umanamente percepiamo come un’esperienza delle attività della nostra mente maggiormente connessa con aspetti importanti della nostra vita.
Storia della parola “spiritualità”
La rassegna dei dizionari, nel darci una prima idea elementare della parola e del concetto di “spiritualità”, ha mostrato la nostra situazione contemporanea. Per avere una consapevolezza pienamente fondata e critica del nostro contesto, dobbiamo ora considerare la storia che ha originato il nostro presente. Presenterò alcune note essenziali sulla storia della parola “spiritualità”, basate sulla ricerca di Walter Principe (1983).
Il sostantivo “spiritus ” e l’aggettivo “spiritualis” sono alla radice della parola latina “spiritualitas”. L’uso di questi due termini ha uno sfondo nella teologia di san Paolo: egli distingue tra persona spirituale e persona carnale. Persona spirituale è colui che adatta la sua vita allo Spirito di Dio; carnale è il modo di vivere che vi si oppone. La parola “spiritualitas” si incontra per la prima volta in una lettera di un autore anonimo del V secolo, che esorta il destinatario “ad agire in modo da avanzare nella spiritualità”. Il contesto permette di rilevare, nell’uso del termine, lo sfondo paolino di cui abbiamo detto.
Nel IX secolo Candido, monaco tedesco, usa il termine in senso generico, non riferito a san Paolo, ma riferito piuttosto a un confronto con ciò che è corporale, materiale. Questo modo di usare la parola si diffonderà nei secoli XII e XIII. Intanto verrà usato anche in un senso completamente diverso, intendendo “spiritualitas ” le proprietà materiali di proprietà della Chiesa, in contrapposizione a “temporalitas ”, che indica la proprietà del re.
Nel XVII secolo comincia ad apparire un uso più filosofico del termine: Cartesio, ad esempio, parla di “spiritualità dell’anima” contrapposta all’estensione della materia. Il termine è anche usato per riferirsi alla vita devota condotta dal religioso.
Nel 1932 l’Istituto Cattolico di Parigi istituisce una cattedra di “Storia della spiritualità”. Tra Ottocento e Novecento, in occasione di un accresciuto interesse per l’Induismo, la parola “spiritualità” è usata per esprimere anche la profondità della religione indiana, contro il materialismo occidentale.
Nel tentativo di definire il termine “spiritualità”, Principe distingue tre livelli di significato. La prima è reale o esistenziale: la spiritualità indica il modo in cui uno ha compreso l’ideale religioso che vorrà seguire.
A questo punto Walter Principe si chiede se si possa formulare una definizione di spiritualità che possa essere attribuita più universalmente, cioè ai non cristiani. Tuttavia abbandona rapidamente la questione, dopo averne ammesso la possibilità. Probabilmente in questo modo Principe si dimostra condizionato dalla sua mentalità di studioso cattolico, che gli fa sentire naturale il significato del termine come semplicemente riferito al contesto del cattolicesimo.
Il secondo livello che Principe individua è la formulazione di un insegnamento sulla realtà vissuta, spesso sotto l’influenza di una persona spirituale eccezionale. Il terzo è lo studio, portato avanti da specialisti, del primo e soprattutto del secondo livello di spiritualità.
A questo punto l’autore considera il problema dei rapporti della spiritualità con il suo contesto, cioè se e in che misura la spiritualità dovrebbe tenere conto di altre materie collaterali, come filosofia, teologia, storia, psicologia, sociologia, antropologia, ecc., con il rischio di perdere la propria la specificità; infine, accenna al problema della soggettività di queste discipline e dello studio specifico della spiritualità.
Trovo che, anche per Principe, nonostante la sua ricerca storica, il significato del termine “spiritualità” sia ancora alquanto confuso, oltre ad avere il limite di restare nell’ambito ristretto dell’esperienza religiosa. La sua ricerca resta d’altronde un punto di riferimento per conoscere bene il fondamento storico necessario per una definizione del termine.
La ricerca di Principe è sulla parola “spiritualità”, ma gli studi di Pierre Hadot (1981, 2001) hanno evidenziato che gli esercizi spirituali erano praticati già nell’ambito dei filosofi greci classici e delle loro scuole prima dell’esistenza della parola latina “spiritualitas”. Questo ci dice che dobbiamo considerare non solo la parola “spiritualità”, ma anche il suo concetto, che potrebbe essere stato espresso da parole e pratiche diverse. Questo crea un problema circolare, considerando che il concetto di spiritualità si basa sulla definizione del termine, ma la definizione del termine è ciò che stiamo cercando di determinare, quindi siamo nella situazione di aver bisogno di una definizione per raggiungere l’obiettivo di formulare una definizione. Tuttavia, il problema non è impossibile, perché la definizione che ho suggerito è ampia e flessibile. Considerando che quanto suggeriscono gli studi di Hadot porta ad un ampliamento del concetto, ciò significa che la definizione da me suggerita contiene già quanto occorre per includere la sua prospettiva. Inoltre, questo non significa che studieremo proprio tutto, perché l’ampliamento e la flessibilità a cui mi riferisco non sono infinite o fuori controllo; al contrario, la definizione acquista precisione nel contesto della storia della parola offerta da Principe e della storia dell’esperienza filosofica data da Hadot.
La storia di Principe della parola “spiritualità” ci fa capire che essa è nata nell’ambito della religione cristiana, cioè in un contesto di significato ristretto, ma si è evoluta verso un orizzonte molto più ampio, come conseguenza dei contatti con altre religioni, pratiche, filosofie e culture. L’allargamento dell’orizzonte della parola “spiritualità” negli ultimi decenni è stato prodotto soprattutto dal contatto della cultura occidentale con le religioni e le spiritualità orientali, tanto che oggi molte persone collegano spontaneamente la parola con esperienze come Yoga, Induismo, Buddismo, Zen, ecc. La mentalità occidentale, largamente influenzata dal cristianesimo e dalla filosofia, ha aggiunto riferimenti a concetti astratti come consapevolezza, compassione, generosità, significato, pace, umanesimo, positività. I dizionari rispecchiano la nostra attuale situazione di incertezza, ma contengono anche, tra le loro definizioni ed esempi, l’espressione “vita interiore”, che è un ottimo candidato per una soluzione al problema fondamentale della ristrettezza e dell’ampiezza. Nella tensione tra ampiezza e ristrettezza, quando si parla di spiritualità oggi, l’arte e il pessimismo sono un esempio importante di ciò che rischia di essere lasciato da parte. In confronto alla quantità di riferimenti che troviamo alle religioni, alla meditazione, al soprannaturale, sono pochissimi i riferimenti all’arte [13] . Le prospettive pessimistiche si trovano in una situazione ancora peggiore, perché comunemente considerate un po’ l’opposto della spiritualità, che invece è normalmente assunta come orientata all’amore per la vita e per la natura, l’incoraggiamento, il benessere, la positività, l’ottimismo. Dovremmo pensare, ad esempio, che un filosofo fortemente pessimista come Emil Cioran sia da considerarsi estraneo a ciò che chiamiamo “spiritualità”?
Ristrettezza e ampiezza
Una cornice essenziale che ci aiuta a focalizzare il problema della nostra definizione è l’opposizione tra ampiezza e ristrettezza: la maggior parte delle definizioni di spiritualità non sono comunemente condivise o accettate, perché sono troppo ristrette, ci fanno temere di lasciare fuori qualcosa di importante che dovrebbe essere incluso. Vale la pena di considerare un esempio estremo di questo problema, contenuto nell’articolo di Clifford (Clifford 2015) sul suo sforzo di trovare nientemeno che una definizione scientifica della spiritualità. Egli individua “… sei aspetti unici della quintessenza dell’Homo sapiens che sono essenziali per l’esperienza spirituale e religiosa: (1) consapevolezza di sé, (2) capacità linguistica, (3) autonomia limitata, (4) creatività, (5) senso estetica e (6) amare ed essere amati”. Dopo aver descritto ogni aspetto, egli si ritiene in grado di concludere che “Ogni spirito umano sano e ben sviluppato include tutte e sei le sfaccettature. Le espressioni effettive e potenziali di ogni aspetto variano notevolmente tra gli individui, suggerendo la possibilità di identificare diversi gradi o livelli di sviluppo spirituale. Una significativa mancanza di capacità rispetto a uno o più aspetti dello spirito indica generalmente che la persona è molto giovane o ha qualche problema medico, come una lesione cerebrale traumatica, autismo, un disturbo della personalità o demenza. Un elemento carente o alterato può limitare lo spirito di quell’essere umano; tuttavia, l’individuo rimane un essere umano”. Egli ritiene di poter anche aggiungere che “In effetti, tutte e sei le sfaccettature sono osservabili e misurabili…”. Il nocciolo del problema in questo articolo è che predispone a passare dalla descrizione alla prescrizione. Una descrizione può essere discussa, criticata, emendata, ma, se diventa prescrizione, vuol dire che pretende di avere un fondamento fortemente provato e condiviso, come l’ha, ad esempio, la scienza della medicina. Come ho detto, l’articolo di Clifford è un esempio estremo del problema, ma, in realtà, nel loro sforzo di essere precise e definite, tutte le definizioni non troppo ampie di spiritualità incontrano, più o meno, questo problema. In altre parole, rischiano di creare una base più o meno lontana per razzismo, pregiudizi e persino dittatura. Anche definizioni che non pretendono di essere scientifiche, come quelle che fanno riferimento più genericamente alla significatività, all’amore, all’impegno, alla consapevolezza, sono esposte a questa difficoltà: se diciamo, ad esempio, che spiritualità significa l’attività mentale di riferirsi ai significati dell’esistenza, dobbiamo concludere che coloro che non coltivano una ricerca sul significato della vita sono meno o per niente spirituali? Cos’è che fa la differenza tra spiritualità e non spiritualità? Nel contesto di queste domande possiamo intuire la spiritualità come una componente umana che dobbiamo riconoscere a tutti in questo mondo e nessuno dovrebbe esserne escluso. Tuttavia, sentiamo anche che la spiritualità non può essere identificata solo con l’umanità, perché così perderebbe ogni significato specifico: questo accade, ad esempio, nell’affermazione di Sessanna: “tutti gli esseri umani sono spirituali ” (Sessanna et al. 2011). Possiamo chiederci cosa rende la spiritualità diversa dall’umanità. Una possibile risposta è che la spiritualità è un aspetto dell’umanità principalmente legato a ciò che percepiamo “interno” nell’umanità, in contrasto con “esterno”. Riprenderò questa questione più avanti.
La definizione di spiritualità come “vita interiore” potrebbe sembrare eccedere in ampiezza: se consideriamo che la vita interiore non è mai totalmente slegata da alcun aspetto esteriore della vita, possiamo vedere che rischia di denotare nientemeno che la vita nella sua interezza, o anche semplicemente tutto. Questa considerazione è un buon punto di partenza per verificare più in dettaglio aspetti e potenzialità della definizione di “vita interiore”, insieme a spunti metodologici che possano fungere da criteri per ulteriori ricerche.
Metodologia di pensiero contenuta nella definizione “vita interiore”
Se consideriamo la parola “vita”, potremmo sentirci persi nella vastità del concetto, ma possiamo renderci conto che il suo campo semantico può effettivamente funzionare come metodologia di pensiero. Contrariamente a ciò che non è vita, la parola “vita” ci riconduce al contesto semantico del dinamismo, del divenire, del movimento, in contrapposizione agli oggetti concepiti come statici, immutabili, fissi. Questo aspetto è riconducibile al filosofo Eraclito, che concepì l’esistenza come un mondo in divenire. Questo contesto ci dice che dovremmo evitare di parlare di spiritualità come “qualcosa”, come un oggetto che ha determinate proprietà, un’entità staccata dal tempo. La spiritualità va piuttosto concepita come un evento, un’esperienza, una storia che può essere raccontata, narrata, più che descritta o definita. Ciò implica il coinvolgimento personale di chi vuole parlare di spiritualità: la spiritualità non è, diciamo, “quella cosa là fuori”, ma un livello di esperienza in divenire del mondo umano, in cui ognuno di noi è coinvolto, di cui devo considerarmi parte, ora.
Dal punto di vista della nostra percezione umana istintiva, la vita ci appare come un’evoluzione, un progresso, un passo successivo, rispetto agli oggetti inanimati. Al contrario, da un punto di vista materialistico, la differenza tra materia ed esseri viventi non consiste in un salto, un passaggio improvviso a un livello successivo, ma in alcune modificazioni senza interruzioni, in modo che appartengono a un continuum dove non c’è un momento in cui la materia cessa definitivamente di essere inattiva e diventa un essere vivente. Potremmo chiederci, ad esempio: un virus può essere considerato un organismo vivente? Si può istruire un computer ad imitare al cento pere cento il comportamento di un organismo fatto di DNA? Dipende dalla prospettiva che vogliamo adottare. Se vogliamo studiare la vita interiore umana in senso generico, non abbiamo bisogno di specificare la prospettiva umana istintiva, perché “vita interiore”, come hanno dimostrato i dizionari, è già comunemente percepita come un’attività umana. In questo modo l’espressione “vita interiore” è abbastanza ristretta e facile da non aver bisogno di ulteriori spiegazioni in un primo momento. In precedenza ho fatto qualche riferimento alla filosofia materialistica per mostrare che, dicendo “vita”, ci poniamo automaticamente nella prospettiva di uno stadio avanzato dell’evoluzione del mondo, tanto da voler tralasciare ciò che comunemente si intende senza vita . Ciò non impedisce, in un altro momento, di allargare l’orizzonte abbracciato dalla parola “spiritualità”, fino a comprendere anche pietre e atomi: poiché la prospettiva materialistica non è esclusa dalla spiritualità, né abbracciata, questo allargamento è possibile. In questo modo, ad esempio, non siamo sorpresi dalle filosofie che concepiscono il mondo come un grande spirito, o una grande mente, o solo un grande insieme di atomi: l’operazione mentale di generalizzazione estrema è normale, sia nella scienza che nella filosofia, per cercare di capire come stanno e come funzionano le cose. Oggi possiamo trovare scritti sulla spiritualità degli animali, o anche delle piante; perché non delle pietre? Sta a noi, a seconda di quanto vogliamo usare la generalizzazione come strumento di ricerca. Ciò significa che la definizione di “vita interiore” è abbastanza flessibile da abbracciare qualsiasi cosa semplicemente aggiungendo ulteriori specificazioni, secondo la prospettiva che vogliamo adottare nelle nostre discussioni.
Un altro aspetto implicito nella parola “vita”, se la consideriamo nel contesto umano suggerito dall’espressione “vita interiore”, è l’attenzione alla soggettività. Ciò significa che lo studio della spiritualità dovrebbe prestare attenzione al problema della gestione dei modi oggettivi e soggettivi di affrontare i suoi temi. Un modo oggettivo cercherà di essere il più scientifico possibile, preciso, definito; un percorso soggettivo dà più spazio a idee molto difficili da afferrare dalla scienza, ma senza dubbio importanti per lo studio della spiritualità, come l’amore, la percezione di sé, l’ispirazione, le emozioni, i simboli, la sensibilità, l’intuizione. Così, la parola “vita” come metodologia di pensiero ci ricorda di prestare attenzione a una necessaria dialettica e lavoro di armonizzazione tra materialismo e idealismo, oggettività e soggettività, scienza e arte.
Ora, allo stesso modo in cui abbiamo considerato la parola “vita”, possiamo considerare più approfonditamente alcuni dettagli sull’aggettivo “interiore”. Possiamo chiederci: come possiamo determinare cosa è interno e cosa è esterno? Qual è il loro rapporto? L’etimo di “spirito” può essere d’aiuto in questa domanda. Come le parole quasi equivalenti “pneuma” in greco e “ruah” in ebraico, “spirito” deriva dall’idea del soffio, del vento, del respiro. Ciò può essere collegato al fatto che non di rado si possono dedurre le emozioni delle persone dal loro modo di respirare; istintivamente facciamo lo stesso in riferimento al cuore: un battito del cuore veloce e forte è comunemente associato alla presenza di emozioni forti e profonde. Per questo motivo ci riferiamo comunemente a ciò che accade all’interno di qualcuno come “spirito” o “cuore”. In tale contesto, la spiritualità è un’attività che non è immediatamente visibile nelle persone, ma ne deduciamo la presenza da segni esterni. Possiamo definire l’idea più precisamente con riferimento a quanto è coinvolto il resto della persona. Ad esempio, se dobbiamo fare un semplice calcolo matematico, come 2+2, ci rendiamo conto che è una sorta di “vita interiore”, ma non è così fortemente connessa con le emozioni, il senso della vita, le relazioni con le altre persone, responsabilità, maturità psicologica, ecc. Quindi, umanamente, istintivamente, percepiamo ciò che è “interiore” come qualcosa di invisibile, che accade nella nostra mente e che ha importanti connessioni con le nostre emozioni e la nostra vita considerata nel suo insieme e, a sua volta, connessa alle emozioni e le vite altrui considerate nel loro insieme. Si può notare che, soprattutto a proposito dell’orizzonte semantico aperto dalla parola “interiore”, non ci muoviamo in un’area strettamente scientifica; tuttavia, questo orizzonte è aperto a un dialogo fecondo con la scienza.
Possiamo acquisire una maggiore consapevolezza circa il valore della definizione “interiore” considerando più dettagliatamente, anche se molto sinteticamente, cosa implica il concetto di spirito nel contesto biblico. Questo concetto si contrappone tipicamente all’esteriorità del diritto e delle istituzioni. La legge, sebbene data da Dio, è considerata anche fonte di problemi perché può rendere gli uomini schiavi delle regole e distratti dal concentrarsi sul loro rapporto diretto con Dio, di cui la legge è solo uno strumento. Allo stesso modo, le istituzioni come il sacerdote e il tempio sono state considerate criticamente dal profetismo. In entrambi i casi, l’idea di fondo è che sia il diritto che le istituzioni rischiano di focalizzare l’attenzione sul comportamento e sull’azione esterna, cosicché un’opposta attenzione verso lo spirito, il cuore, le intenzioni, è stata introdotta come modo per compensare questo rischio. Questa dialettica ci permette di inferire che il concetto di vita interiore nella Bibbia è un modo essenziale per comprendere il concetto di spirito. Possiamo estendere questa dialettica all’altro momento della storia della spiritualità, quando il mondo occidentale ha iniziato ad interessarsi alle spiritualità indiane e orientali: le spiritualità indiane e orientali sono state percepite come fortemente connesse con ciò che è interiore nella nostra esperienza umana della vita, in opposizione allo stile occidentale, più influenzato dalla grande efficienza industriale, dal successo, dal potere economico, dalla tecnologia. Questo può aiutarci a capire che la definizione di “vita interiore” non è poi così generica e ampia, ma conduce ad un contesto di connotazioni e dialettiche piuttosto precise.
Come risultato di questa analisi, possiamo ricavare una metodologia di pensiero sintetico dall’espressione composta “vita interiore”: spiritualità intesa come vita interiore significa studiare ciò che accade nell’attività mentale dell’uomo in proporzione alle connessioni di questa attività con le emozioni e la vita inteso nel suo insieme, sfruttando strumenti sia scientifici che intuitivi, insiame ad un dialogo reciproco tra loro. Queste considerazioni ci rendono consapevoli che la spiritualità, insieme alla sua definizione, si elabora in una proficua dialettica tra concetti scientifici, filosofici e umani.
Possiamo notare che in questo modo determiniamo realmente gradi ed esclusioni, che invece produrrebbero rischio di razzismo e dittatura se applicati con altre definizioni. Ad esempio, possiamo percepire che le sei sfaccettature di Clifford della sua idea di spiritualità (Clifford 2015) ci fanno temere il razzismo: come possiamo pensare, ad esempio, che chi non coltiva l’autocoscienza sia meno spirituale, o addirittura mentalmente alterato? Invece del concetto altamente problematico di autocoscienza, quello di vita è un elemento molto più essenziale della spiritualità: possiamo convenire che un’attività mentale che non si preoccupa della vita, né in positivo né in negativo, o non ha connessioni con le emozioni che ci fanno percepire in vita, non può essere considerata veramente spirituale. In quanto tale, la definizione di “vita interiore”, oltre ad essere una definizione e una mentalità, può essere addirittura prescrittiva per coloro che desiderano trovare modi efficaci per essere più spirituali o per avvicinarsi efficacemente al mondo della spiritualità.
La definizione “vita interiore” può anche aiutare a dare serietà a qualsiasi contenuto sulla spiritualità se si considera che molta cosiddetta spiritualità commercializzata, industriale, può esistere oggi proprio perché molte persone isolano ciò che preferiscono dai significati di questa parola, annullando le altre connessioni necessarie, per rendere possibile la produzione di prodotti distorti e superficiali. Se consideriamo che la spiritualità, per essere veramente spiritualità, ha bisogno di essere un’attività umana interiore che coinvolge connessioni con le emozioni, la vita nel suo insieme, le persone, la filosofia, le religioni, la mente critica tipica della scienza, sarà molto più difficile pubblicizzare sedicenti spiritualità che garantiscono il successo nella vita, emozioni speciali, superiori, esotiche e misteriose, o sfruttamento di poteri magici imprigionati in pietre, amuleti e costellazioni. Piuttosto, una mentalità umanistica e scientifica interessata alla cultura, all’antropologia, all’archeologia, è in grado di dare un valore serio alle superstizioni come testimonianze profonde in grado di rivelare molto sulla psicologia umana, le strutture mentali, le connessioni tra le culture, le emozioni e persino l’arte.
Note conclusive
Se poniamo la nostra mente nel contesto critico che ho descritto, possiamo notare che la definizione di “vita interiore” mette alla prova anche pratiche di spiritualità comunemente date per scontate come buone, corrette, legittime. Mi riferisco alla spiritualità intesa come pratica di compassione, amore, generosità, pace. Che dire della spiritualità di Hitler, per esempio? Come possiamo pensare di capire queste cose se scegliamo precomprensioni che sono fondamentalmente sbagliate come punto di partenza per costruirne un concetto? Se qualsiasi esperienza umana può rientrare nella definizione inclusiva di “vita interiore”, questo significa, provocatoriamente, che tutto ciò che non ci piace ha bisogno di essere reinterpretato, se vogliamo produrre studi seri sulla spiritualità. Ciò non significa neutralità disumana, indifferenza alla sofferenza umana, dimenticanza dell’ingiustizia. Al contrario, “vita interiore” significa considerare tutte le connessioni al fine di acquisire idee ed esperienze più ricche.
Queste considerazioni sono molto simili a quelle necessarie per praticare la psicologia. Uno psicologo ha bisogno di essere libero da giudizi personali sulla vita, i comportamenti e le opinioni dei suoi pazienti, altrimenti il suo lavoro sarebbe gravemente distorto dalle sue precomprensioni. Ma, allo stesso tempo, uno psicologo ha bisogno di impiegare le risorse più squisitamente umane della sua personalità: un computer non potrà mai essere uno psicologo, perché non è in grado di elaborare percezioni possibili solo a una persona esperta fatta di DNA umano.
Parlando di psicologia, potremmo chiederci se c’è differenza tra spiritualità e psicologia, considerando che entrambe sono coinvolte nel lavoro sulla “vita interiore”. La risposta a questa domanda ci porterebbe troppo lontano dall’argomento specifico di questo articolo. Qui mi limito a notare che la spiritualità si ispira principalmente a contesti legati al mondo delle religioni e della filosofia; la psicologia è invece principalmente ispirata alla mentalità della scienza e della medicina. In quanto tale, la psicologia è molto più interessata al benessere e alla malattia delle persone, mentre invece la spiritualità è interessata all’esperienza interiore creata dal relazionarsi con la vita, le emozioni e la riflessione. Questo aiuta ulteriormente a formarsi un’idea critica delle spiritualità troppo orientate a garantire il benessere e la salute: il benessere e la salute sono finalità della psicologia e delle discipline scientifiche ad essa connesse, più che della spiritualità, pur non escludendole.
Queste note sull’umanità e l’analisi, la spiritualità e la psicologia, ci suggeriscono un’ultima considerazione. L’attività di studio della spiritualità mediante l’applicazione di metodi basati sulla generalizzazione, sull’analisi e sui metodi critici è tipica della mentalità occidentale, desiderosa di esaminare le cose con razionalità. In quanto tale, può essere considerata criticamente semplicemente un’altra prospettiva nel mondo delle prospettive: non può pretendere di essere la più alta, o la più generale, o la più accurata. Ciò significa che, se consideriamo che ogni spiritualità può essere solo una prospettiva particolare, quella che chiamiamo “spiritualità” è in realtà una prospettiva unica su qualcosa che non dobbiamo pensare di essere stati in grado di afferrare, abbracciare, solo perché siamo stati in grado di per darle un nome, una definizione e studi accurati. I ricercatori in spiritualità non possono pensare a sé stessi come a quelli che hanno la prospettiva privilegiata e migliore sulla spiritualità. Dare un nome, una definizione, alcuni studi alla spiritualità, può essere considerata solo un’altra spiritualità insieme alle altre. Ciò, più che sminuire l’importanza dello studio metodico della spiritualità, può suggerire che la seria attività di studio e di ricerca è essa stessa in grado di donare ai ricercatori una vera, autentica esperienza spirituale, degna di essere coltivata con infinita passione. Lo studio della spiritualità è di per sé una spiritualità specifica.può suggerire che la seria attività di studio e di ricerca è essa stessa in grado di regalare ai ricercatori una vera, autentica esperienza spirituale, degna di essere coltivata con infinita passione. Lo studio della spiritualità è esso stesso una spiritualità specifica.
Verso lo sviluppo futuro
La definizione di spiritualità come “vita interiore” può essere considerata una definizione di livello medio, in una gamma di gradi dal più completo al più ristretto. Il suo livello non è esageratamente ampio, perché la percezione comune che abbiamo dell’espressione “vita interiore” non ci fa pensare immediatamente agli animali e alle piante: quando pensiamo alla vita interiore, pensiamo più istintivamente alla vita interiore umana. In questo contesto possiamo pensare a orizzonti di significato ancora più ristretti, che come tali possono creare più dibattito perché escludono più cose e persone; tuttavia possono essere utili per acquisire una migliore consapevolezza di ciò che stiamo facendo quando cerchiamo di coltivare intenzionalmente la spiritualità. Due definizioni più ristrette di spiritualità possono essere “ermeneutica” ed “esistenzialismo”, considerando che una caratteristica essenziale della spiritualità è l’interesse per il senso dell’esistenza. Ermeneutica significa studio dell’interpretazione e interpretare significa dare un significato. L’esistenzialismo è il campo specifico dello studio del significato dell’esistenza. Sia l’ermeneutica che l’esistenzialismo provengono dalla filosofia e possiamo considerare che in realtà la spiritualità come pratica ha solide origini nella filosofia, come ci ha mostrato Pierre Hadot. Inoltre, l’ermeneutica e l’esistenzialismo non escludono le religioni o qualsiasi altra attività umana comunemente considerata spirituale; possono essere usati come strumenti interpretativi per evidenziare perché e come certe pratiche possono essere considerate spirituali. Questo è un possibile lavoro per ulteriori studi.
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