Siamo degli io limitati
Una delle esperienze spirituali che ci è dato di vivere è la percezione di noi stessi come “io”, la sensazione cioè di trovarci come dentro una stanza in cui non ci è possibile far entrare alcun altro; questa stanza è il nostro “io”. Una delle sensazioni riguardanti l’io è la libertà: con il mio io posso decidere cosa pensare e cosa fare. Per esempio, posso decidere di pensare un numero; ho deciso io quale numero pensare, avrei potuto pensarne un altro qualsiasi, ho tuttora la possibilità di pensarne un altro qualsiasi e nessuno ha la possibilità di sapere quale numero ho deciso di pensare, nessuno può penetrare dentro i miei pensieri.
Di fronte a questa situazione emergono presto però alcuni problemi. Uno riguarda l’impotenza: mi accorgo presto che ci sono cose, sia dentro che fuori di me, su cui la mia libertà non può essere esercitata. Dunque si tratta di una libertà limitata. Un secondo problema riguarda l’indecisione: ho una certa libertà nel mio io, ma ora come faccio ad usarla, da cosa mi farò orientare? È come la sensazione di avere davanti un foglio bianco e non sapere cosa scriverci. Un terzo problema riguarda l’impossibilità di essere certi che questa libertà ci sia davvero: supponiamo che la mia libertà non esista e quindi tutti i miei pensieri siano in realtà determinati da altri fattori; ciò significa che anche la mia sensazione di libertà, il concetto che di essa mi formo nella mia intelligenza, la consapevolezza di essa, la stessa domanda se la libertà esista oppure no, potrebbero essere tutti fenomeni mentali creati nella mia mente da fattori che l’hanno determinata. Ciò significa che umanamente non abbiamo alcuna possibilità di sapere se la libertà esiste, poiché già questo stesso interrogativo potrebbe essere nient’altro che un fenomeno prodotto in noi da altri fattori determinanti. In questo contesto, percezione dell’io e percezione della libertà sono interdipendenti: infatti, se la mia sensazione di libertà si espone al sospetto di essere solamente il prodotto di meccanismi deterministici, ne consegue che è illusorio credere di poter pensare consapevolmente al proprio io a piacimento, cioè scegliendo quando farlo. Se la mia libertà di pensare all’esistenza del mio io quando scelgo di farlo è illusoria, ciò significa che tutto ciò che ha a che fare con il mio sospetto (o la mia speranza) di essere un “io” diverso, irriducibile alla sensazione che ho degli altri io, è illusorio, o per lo meno si espone a questo dubbio insuperabile. Ciò significa che non posso dire neanche a me stesso di avere una qualche percezione certa di diversità del mio io, diverso dagli altri in quanto mio e quindi oggetto di una percezione che solo io ne posso avere.
Tutto questo non è altro che sconfitta della comprensione dell’io, che favorisce l’orientamento verso una relazione con esso impostata non sulla comprensione, ma sull’esperienza spirituale. È una sconfitta analoga a quella della comprensione di Dio e del mondo. Da questo punto di vista, ogni limitazione della libertà potrà essere interpretata come manifestazione del male universale, come limite che il non umano dell’universo impone alla mia umanità. Al contrario, l’io può essere messo in conto come progetto non metafisico di umanità in via di permanente approfondimento e sperimentazione; in altre parole, conviene che l’io venga considerato né più né meno che come un aspetto del camminare che la vita mi ha dato e come una delle esperienze spirituali dinamiche, frutto di questo camminare.
Salve a tutti.
Siamo arrivati al post dal titolo “La nostra percezione di essere io”.
In questo post ho evidenziato che ognuno di noi sente di essere come una stanza, come essere quasi dentro un’automobile, di cui noi sappiamo tutto e in cui gli altri non possono entrare e anche volendo non li possiamo far entrare: io non posso far entrare altri dentro il mio cervello. Posso spiegare quello che provo, quello che vivo, ma non posso dire “Accomodati dentro di me e sperimenta quello che io sperimento”. Ora, questa particolare sensazione ci pone tanti interrogativi: che cos’è questo io che sentiamo in una maniera così marcata, addirittura che poi, quando una persona muore, sentiamo così marcata questa presenza dell’io che non riusciamo ad accettare che questo io non ci sia più e ci chiediamo “dov’è andato a finire?”. Ma sono istinti, adesso non si tratta qui di metterci a discutere sull’al di là, sulla religione, non è su questo che oggi voglio dedicarmi. Piuttosto possiamo tener presente un altro aspetto di questo essere io: il punto di vista biologico. Cioè, possiamo riscontrare che tanti animali si basano piuttosto sul numero, la forza del numero, fanno tantissimi i figli, una prole sterminata per assicurare che qualcuno poi sopravviva, per esempio pensiamo le formiche le rane. Lì non ha importanza l’individuo, lì ha importanza la società, mentre, man mano che andiamo a essere più complessi, i mammiferi per esempio, fanno minor numero di figli e già questi esseri lasciano lasciano intendere come se, anche già come animali, hanno una percezione diversa del singolo, il singolo è più importante. Questo significa che la nostra percezione umana di sentirci un io può anche essere considerata nient’altro che uno strumento che la natura ci ha dato per indurci a lottare per questo io, proteggerlo, farlo sopravvivere, perché sul singolo si basa la sopravvivenza più di quanto lo sia in altre specie animali. Da questo punto di vista l’io viene ad essere come uno strumento anche di competizione contro gli altri io che vengono ad esistere, non solo della mia razza, ma anche gli altri animali eccetera. Non per nulla, quando diciamo “io”, in altri contesti si intende la sua esagerazione, che può tradursi in egoismo: “ego” è maniera latina di dire l’io. Allora come comportarci? Cioè, l’io non solo io non posso far entrare gli altri dentro il mio io, ma scopro che proprio questo io mi pone in conflitto con gli altri, perché mi pone in competizione. Che fare allora in questa situazione? Ovviamente, a questo punto, presentata così la questione, la via diventa anche abbastanza facile da individuare. Cioè dire, ci sono altri valori che permettono, piuttosto che essere in competizione con gli io, di essere in solidarietà, come può essere per esempio la giustizia, la solidarietà, ma, detto in una parola molto più generale, l’amore, l’amore inteso non tanto come semplice sentimento o atto di carità, ma piuttosto, come intendo io, un cammino di crescita, una via di spiritualità, di esperienza interiore in cui continuamente progredire, non solo come singoli, ma anche specialmente nella relazione con gli altri io. Quindi questa maniera di trattare l’io, cioè non semplicemente come uno strumento di competizione, sopravvivenza, ma come un luogo in cui poter vivere l’esperienza dell’amore, viene a presentarsi come un’alternativa, un’alternativa che tuttavia non supera le difficoltà potremmo dire metafisiche. Cioè, non è che con l’amore io riesco a far entrare l’altro dentro il mio io, o viceversa, entrare io dentro lo spirito, la spiritualità, la mente dell’altro, ma proprio questa, però, potrebbe essere individuata come differenza importante e positiva. Cioè, l’amore non si pone pretese, pretesa di penetrare nell’io dell’altro; l’amore si pone semplicemente come via, come strada percorribile, come tentativo, e in questo viene ad essere alternativo alle pretese metafisiche di tentare di capire che cos’è l’io, perché alla fin fine poi in realtà non riesco a penetrare neanche nel mio stesso io. Allora la prospettiva basata sulla spiritualità, l’amore, il crescere, l’essere strada, può dimostrarsi proprio davvero un’alternativa, nella misura in cui, proprio perché è umile, è modesta, non si pone pretese e dice “Possiamo provati ad incontrarci, a capirci, ad amarci, a crescere, e allora, possibilmente, si può sperimentare davvero un modo di essere migliore. “Davvero” tra virgolette, non perché ci sia una verità, una certezza raggiungibile, ma perché lo possiamo sperimentare in maniera più umana, potremmo dire più autentica, tanto per non dire vero, ma “autentico” in realtà non è altro che un sostituto di “vero”. Quindi sono vie da esplorare, vie che si possono sperimentare, ma per lo meno in mancanza di altro di meglio, si profilano come prospettive fattibili, che meritano davvero di essere di essere intraprese.
Arrivederci alle prossime puntate, al solito auguri a tutti di poter vivere esperienze magari inedite di incontro con l’io, non in senso metafisico, ma in senso molto modesto di crescita, di amore, che già è tanto. Arrivederci a tutti.
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